Perché le sanzioni non funzioneranno
I legami con la Russia rendono difficili sanzioni riguardanti l'energia, ma la strada giusta si scontra con i privilegi.
In queste ore i Leader Europei hanno concordato una serie di misure per sanzionare il regime di Putin, presentate dalla Presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Queste misure sono dirette al settore finanziario, energetico, aereo e a quello delle tecnologie di frontiera. La Russia infatti dipende dall’estero per settori cruciali della sua economia, anche quelli che riguardano da vicino l’esercito russo. Inoltre i leader hanno concordato una stretta sui visti d’ingresso.
Non vi è però certezza che queste sanzioni funzioneranno. Anzi, tutto lascia pensare il contrario.
L’Europa non si trova in una situazione facile: in un momento di difficoltà sul piano energetico sanzioni alla Russia rischierebbero di mettere KO anche le nostre economie. D’altronde in questi mesi il caro bollette ha impegnato le cancellerie di tutta Europa e non solo. L’aumento del gas ha messo a dura prova l’economia, che non si è ancora ripresa dopo la fase più acuta della pandemia: dietro questo aumento vi è anche la strategia russa, che si è aperta sempre di più al mercato asiatico.
Ma dall’altra l’esportazione di gas e petrolio rappresenta quasi il 50% dell’export russo.
Le sanzioni quindi rischiano di penalizzare ancora di più l’Europa: è un rischio che i leader europei sono pronti a correre, soprattutto in vista di elezioni cruciali come quelle francesi del 2022 e quelle italiane del 2023?
Putin è conscio della situazione. E non a caso, come scrive Francesco Lenzi su Il Fatto di oggi, la Russia attraverso surplus commerciali ha racimolato 210 miliardi di dollari: se non dovesse più esportare da qui ai prossimi due anni avrebbe comunque risorse per importare quello di cui necessita.
Tra le ipotesi che circolavano in queste ore c’era anche l’esclusione della Russia dal circuito SWIFT. Si tratta di un sistema entrato in funzione nel 1973 che permette di scambiare informazioni- ma non denaro- per i trasferimenti finanziari tra i vari paesi. Con sede in Beglio, solo l’Europa avrebbe potuto intervenire per escluderla.
Già negli anni scorsi la Russia ha cercato di mettersi al riparo elaborando un proprio sistema di scambi. Non solo: l’esclusione avrebbe comportato delle controindicazioni anche per l’Europa. Come scrive Lisa di Giuseppe su Domani vi due problematiche principali: da una parte la svalutazione del Rublo che comporterebbe una perdita di valore degli investimenti, dall’altra le ritorsioni russe. Non è paragonabile infatti l’eslusione dell’Iran nel 2012 sotto pressione degli USA: la Russia è più integrata a livello internazionale dell’Iran.
Anche il Financial Times ha messo in luce l’esposizione di istituti europei come Unicredit nei confronti della Russia.
Paesi come Italia e Germania si sono messi di traverso rispetto a questa ipotesi, suscitando dure reazioni da parte di altri esponenti politici come Donald Tusk.
Non va meglio nemmeno negli Stati Uniti d’America. Proprio ieri il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha presentato un proprio piano di sanzioni. Sul suo blog l’economista Adam Tooze scrive che anche le sanzioni di Biden sono fatte per non sanzionare Fino a quando i pagamenti energetici passeranno attraverso istituzioni finanziarie non sanzionate, come quelle europee, non ci sarà alcun problema.
Che fare? Per comprenderlo è necessario ribadire che la Russia, dopo la fine dell’Unione Sovietica, è andata sempre di più verso un sistema oligarchico, in cui il potere politico e l'élite economica convivono sorreggendosi a vicenda. Colpire gli oligarchi significa colpire la base di Putin. Un sistema quindi di tipo estrattivo, per usare un termine reso popolare da Daron Acemoglu e James Robinson nel loro “Perché le Nazioni falliscono” in cui il governo non funziona più per tutti i cittadini, garantendo diritti e crescita economica, ma estrae il valore dalla popolazione per garantirlo a un ristretto gruppo di persone.
Per colpire quindi al cuore la Russia è necessario intervenire proprio su questo legame tra oligarchi e Putin.
Questa è la strada che propone oggi su Le Monde l’economista Thomas Piketty. Attraverso l’istituzione di un Registro Finanziario Globale gli Stati potrebbero indirizzare le sanzioni nei confronti del top 0.1% dell’economia russa. Perché allora non lo si sta facendo?
Perché la trasparenza finanziaria potrebbe poi ritorcersi contro i miliardari dell’occidente. Anche se spesso passa in sordina, la strada intrapresa dall’Occidente non è più quella di creare prosperità inclusiva- e quindi potere politico- per tutti, ma garantire i privilegi a una fascia già abbiente della popolazione. I dati sulle disuguaglianze, tanto di reddito quanto di capitale, sono lì a dimostrarlo. E le politiche messe in campo durante questi anni, sospinte da idee come la Teoria dello Sgocciolamento, sono lì a dimostrarlo.
Questo sembra quindi impedire sanzioni che danneggerebbero dall’interno il sistema oligarchico russo. D’altronde anche la politica occidentale non si è di certo tirata indietro: basti pensare all’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi nel CdA di un’azienda di car sharing in Russia, l’ex Cancelliere tedesco Gerhard Schröder con il gasdotto Gazprom o il candidato alla Presidenza della Repubblica francese François Fillon.
La pandemia ha mostrato con forza il peso delle disuguaglianze eppure ancora oggi, anche in condizioni simili, sembra non essere il tempo della lotta ai privilegi.